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Dal Manierismo al Barocco

 

Alla fondazione dei nuovi modelli classicisti succedono nel corso del XVI sec., norme semplice e puntigliose.


Si dettano nuove regole e schemi da seguire e riprodurre. La diffusione della stampa favorisce l’imposizione di schemi fissi; al pubblico dei dotti succede un pubblico più numeroso in grado di comprendere messaggi originali e complessi.

L’ossessione delle regole e la ricerca di libertà fanno avvertire sempre più la distanza dagli antichi e dal mondo classico. Numerosi sono gli autori che sostengono la superiorità del mondo moderno su quello antico dando avvio alla Disputa degli antichi e dei moderni che esploderà in Francia nel tardo ‘600.

Dalla normativa classica si passa al rifiuto delle regole e all’esaltazione dell’ingegno.
Nel ‘600 si diffuse la trattatistica comportamentale ed i temi che comprendeva erano: la nobiltà e l’onore, le pratiche del duello e le cerimonie nobiliari. Nella seconda metà del ‘500, dominano nella scrittura gli atteggiamenti di tipo manieristico. Al manierismo appartiene il capolavoro di Tasso, la Gerusalemme Liberata.

Nella seconda metà del XVI secolo le polemiche letterarie danno luogo per effetto della diffusione della stampa, ad un vero e proprio genere di scrittura: si assiste infatti ad una ricca produzione di libelli, composti e stampati da vari autori. Alcune controversie iniziarono a diffondersi in tutta Italia, si ricorda:

- la polemica sulla lingua dantesca, ritenuta non consona alla religiosità della Controriforma e alla precettistica aristotelica. I fiorentini a difesa di dante diedero avvio ad un lavoro filologico sul testo della Divina Commedia facendo emergere i valori storici e linguistici originali;

- la polemica sulla Gerusalemme liberata tra i sostenitori del Tasso e dell’Ariosto; in tal caso i
letterati fiorentini, sostenitori della poesia dell’Ariosto, precisarono la loro preferenza per un classicismo razionale.

- ed infine la polemica sulla tragicommedia.

All’affermazione del modello linguistico proposto da Bembo si aggiunsero una serie di esperienze letterarie. Al di là dei canoni bembeschi che adottavano:

Petrarca – poesia;

Boccaccio – prosa

S’impose una lingua a base toscana, più vicina al fiorentino letterario del ‘300, ma arricchita di elementi provenienti da diverse aree italiane.

Su questa lingua si basa la maggior parte delle scritture italiane. Due fattori modificarono l’orizzonte culturale:

- da un lato, agisce una ricerca ossessiva di effetti artificiosi e di figure retoriche;

- dall’altro, un’esigenza di precisione e concretezza.

A questi due fattori si aggiunge anche la vitalità dei dialetti regionali che continuano ad essere parlati da tutti gli strati popolari. I dialetti diventano oggetto di curiosità e sono usati da scrittori colti come strumento di sperimentazione linguistica.

Firenze rivendica la propria lingua considerata come il solo modello valido di linguaggio letterario italiano e gli scrittori del XVI secolo propugnavano l’uso del fiorentino non contaminato da forme linguistiche di altra origine.
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