Paradiso pastorale dell'Aminta
Alla tradizione della favola pastorale si ricollega l’Aminta “favola boschereccia”. Con quest’opera Tasso attua una sintesi tra dimensione pastorale e mondo cortigiano. L’organismo drammatico dell’Aminta sembra muoversi in due direzioni opposte: da una parte esso suggerisce una scena naturale, pura, una vita semplice e sentimenti spontanei, che rappresentano una felice evasione dalle illusioni del mondo cortigiano; dall’altra sembra volere idealizzare gli aspetti più frivoli ed edonistici della vita cortigiana, quella ricerca del piacere e della dolce comunicazione amorosa che esprimeva liberamente nelle occasioni mondane. L’universo pastorale permette di teatralizzare e mettere in scena alcuni personaggi che raffigurano esponenti della corte ferrarese.
Tra questi, Tirsi è turbato da un’insoddisfazione, da desideri che non possono realizzarsi. Vi è poi il personaggio femminile, Dafne, immagine di dama di corte; vi è poi l’amore innocente, pieno di dedizione del giovane pastore Aminta per la sua bella ninfa Silvia. La ninfa fugge l’amore e preferisce la caccia, vivendo a contatto con la natura. Dafne cerca di convincere Silvia ad accettare l’amore di Aminta, mentre a sua volta Tirsi aiuta Aminta a vincere la sua timidezza e ad avvicinarsi a Silvia con maggiore determinazione. Il dramma procede in un susseguirsi di sorprese, sempre suscitate da altri racconti. Aminta disperato si è ucciso gettandosi in un burrone: Silvia si pente della sua ritosía. Nell’atto V però a sapere che quella di Aminta è stata una morte apparente, perché la sua caduta è stata atttutita da un cespuglio, ed ora tra i due giovani trionfa finalmente l’amore. Lo stile semplice scorre nei dialoghi, nelle descrizioni sensuali delle effusioni amorose.
Diventa nostro fane seguici su facebook
Segui il nostro canale Twitter