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Tito Livio: L'apologo di Menenio Agrippa, da 'Lingua nostra'




Versione di Tito Livio: L'apologo di Menenio Agrippa, da 'Lingua nostra', di Giuseppe Grasso.
 
 
 
Placuit igitur oratorem ad plebem mitti Menenium Agrippam, facundum virum et quod inde oriundus erat plebi carum. Is intromissus in castra prisco illo dicendi et horrido modo nihil aliud quam hoc narrasse fertur: tempore quo in homine non ut nunc omnia in unum consentiant, sed singulis membris suum cuique consilium, suus sermo fuerit, indignatas reliquas partes sua cura, suo labore ac ministerio ventri omnia quaeri, ventrem in medio quietum nihil aliud quam datis voluptatibus frui; conspirasse inde ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes quae acciperent conficerent. Hac ira, dum ventrem fame domare vellent, ipsa una membra totumque corpus ad extremam tabem venisse. Inde apparuisse ventris quoque haud segne ministerium esse, nec magis ali quam alere eum, reddentem in omnes corporis partes hunc quo vivimus vigemusque, divisum pariter in venas maturum confecto cibo sanguinem. Comparando hinc quam intestina corporis seditio similis esset irae plebis in patres, flexisse mentes hominum.
 
 
 
 
 
TRADUZIONE
 
 
 
 
 
Fu dunque decretato così, cioè che Menenio Agrippa, uomo facondo e caro alla plebe, giacchè di lì traeva le proprie origini, venisse inviato alla suddetta (lett: ripetuto 'plebe') in veste di oratore. Si tramanda che, introdotto che fu nel luogo ove aveva sede la rivolta (lett: 'nell'accampamento'), con un certo qual antico e rozzo modo di parlare, non abbia narrato null'altro che ciò: (nota: le frasi che seguono sono parimenti rette da 'traditur') in un tempo in cui nell'uomo le membra non costituivano tutte quante un singolo corpo, ma ciascuna di esse possedeva una propria autonomia ed un peculiare linguaggio, tutte le altre parti s'indignarono di dover provvedere, con la propria fatica ed il proprio lavoro, al ventre, mentre questo, placido nel mezzo, di null'altro si pasceva che dei godimenti che gli venivan forniti: di qui, s'accordarono a che le mani non recassero il nutrimento alla bocca, a che la bocca non accogliesse quanto veniva introdotto al suo interno, e a che i denti non masticassero quel che ricevevano. A cagione di questa iracondia, finchè intendevano far crepare il ventre di fame, le stesse membra, una ad una, nonchè il corpo tutto eran giunti ad un estremo grado di deperimento. Pertanto, apparve chiaro a ciascuno che il compito del ventre non era certo riposante, consisteva cioè nel nutrirsi non più di quanto lo nutrivano, restituendo in tutte le parti del corpo ciò del quale viviamo e dal quale traiamo vigore, ovvero il sangue, suddiviso equamente nelle vene, arricchito dal nutrimento assorbito. Di qui, mostrando con un paragone quanto fosse simile la ribellione intestina delle membra del corpo all'ira della plebe contro i senatori, ammorbidì le menti degli uomini.
 
 

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