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Plinio il Giovane: L'eruzione del Vesuvio

Ais te adductum litteris quas exigenti tibi de morte avunculi mei scripsi, cupere cognoscere, quos ego Miseni relictus non solum metus, verum etiam casus pertulerim. Quamquam animus meminisse horret, incipiam. Profecto avunculo ipse reliquum tempus studiis deo enim remanseram impendi; mox balineum cena somnus inquietus et brevis. Praecesserat per multos dies tremor terrae, minus formidolosus quia Campaniae solitus; illa vero nocte ita invaluit, ut non moveri omnia, sed verti crederentur. Inrupit cubiculum meum mater; surgebam invicem, si quiesceret excitaturus. Resedimus in area domus, quae mare a tectis modico spatio dividebat. Dubito, constantiam vocare an imprudentiam debeam agebam enim duodevicensimum annum: posco librum Titi Livi, et quasi per otium lego atque etiam ut coeperam excerpo. Ecce amicus avunculi qui nuper ad eum ex Hispania venerat, ut me et matrem sedentes, me vero etiam legentem videt, illius patientiam securitatem meam corripit. Nihilo segnius ego intentus in librum.Iam hora diei prima, et adhuc dubius et quasi languidus dies. Iam quassatis circumiacentibus tectis, quamquam in aperto loco, angusto tamen, magnus et certus ruinae metus. Tum demum excedere oppido visum; sequitur vulgus attonitum, quodque in pavore simile prudentiae, alienum consilium suo praefert, ingentique agmine abeuntes premit et impellit. Egressi tecta consistimus. Multa ibi miranda, multas formidines patimur. Nam vehicula quae produci iusseramus, quamquam in planissimo campo, in contrarias partes agebantur, ac ne lapidibus quidem fulta in eodem vestigio quiescebant. Praeterea mare in se resorberi et tremore terrae quasi repelli videbamus. Certe processerat litus, multaque animalia maris siccis harenis detinebat. Ab altero latere nubes atra et horrenda, ignei spiritus tortis vibratisque discursibus rupta, in longas flammarum figuras dehiscebat; fulguribus illae et similes et maiores erant.





TRADUZIONE




 

Mi dici che, spinto dalla lettera che ti ho scritto, dietro tua richiesta, sulla morte di mio zio, desideri conoscere non solo quali timori, ma anche quali frangenti io abbia affrontato, una volta che fui lasciato a Miseno. "Anche se il mio animo aborre questo ricordo, incomincerò a raccontare". Dopo la partenza di mio zio, io spesi tutto il tempo che mi rimaneva nello studio - proprio per questo, infatti, mi ero fermato ; poi il bagno, la cena ed un sonno agitato e breve. C'era già stato in precedenza per molti giorni un tremore della terra, ma non spaventoso, in quanto ordinario in Campania; quella notte invece fu così violento che tutto sembrava non muoversi, ma capovolgersi. Mia madre si precipitò nella mia stanza: io stavo alzandomi a mia volta, per svegliarla nell'eventualità che dormisse. Ci mettemmo a sedere nel cortile della nostra casa, che con la sua modesta estensione separava il mare dai caseggiati. Non so se io debba chiamarla forza d'animo o incoscienza non avevo ancora compiuto diciotto anni: domando un libro di Tito Livio e, come per passatempo, mi metto a leggerlo e continuo perfino a farne estratti, come avevo incominciato. Ed ecco che un amico di mio zio, che era da poco arrivato dalla Spagna per recarsi da lui, quando vede me e mia madre seduti, e me addirittura intento a leggere, rimprovera la sua dabbenaggine e la mia noncuranza. Ciò non ostante, io continuo a rimanere concentrato sul mio libro.Il sole era già sorto da un'ora e la luce era ancora incerta e, per così dire, smorta. Poiché le abitazioni circostanti erano ormai danneggiate, anche se eravamo in un luogo all'aperto  però angusto , grande e fondato era il timore di un crollo. Soltanto allora ci parve opportuno di uscire dalla cittadina; una folla attonita ci viene dietro, e  cosa che nello spavento è simile all'avvedutezza  preferisce l'opinione altrui alla propria, e con la sua enorme ressa ci incalza e ci spinge mentre ci allontaniamo.Una volta usciti dall'abitato, ci fermiamo. Là assistiamo a molti fatti sbalorditivi, ci colpiscono molti particolari agghiaccianti. Infatti i carri che avevamo ordinato di far arrivare, sebbene fossero su una superficie assolutamente pianeggiante, venivano sballottati in direzioni opposte, e non rimanevano fermi nel medesimo posto neppure se venivano bloccati con pietre. Inoltre vedevamo il mare riassorbirsi in se stesso e quasi essere respinto indietro dalle vibrazioni della terra. Senza dubbio la spiaggia era avanzata, e teneva prigionieri nelle sue sabbie asciutte molti animali del mare. Dall'altra parte una nube nera e terrificante, lacerata da un intreccio sinuoso e lampeggiante di vampate di fuoco, si squarciava in fiammate dalla forma allungata; erano simili a fulmini, ma più grandi.

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