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Cicerone: Condanna del suicidio


«Atque ut ego primum fletu represso loqui posse coepi: "Quaeso", inquam, "pater sanctissime atque optime, quoniam haec est vita, ut Africanum audio dicere, quid moror in terris? Quin huc ad vos venire propero?" "Non est ita," inquit ille. "Nisi enim deus is, cuius hoc templum est omne, quod conspicis, istis te corporis custodiis liberaverit, huc tibi aditus patere non potest. Homines enim sunt hac lege generati, qui tuerentur illum globum, quem in hoc templo medium vides, quae terra dicitur, iisque animus datus est ex illis sempiternis ignibus, quae sidera et stellas vocatis, quae globosae et rotundae, divinis animatae mentibus, circulos suos orbesque conficiunt celeritate mirabili. Quare et tibi, Publi, et piis omnibus retinendus animus est in custodia corporis nec iniussu eius, a quo ille est vobis datus, ex hominum vita migrandum est, ne munus humanum assignatum a deo defugisse videamini.».


Traduzione


«E io, non appena riuscii a trattenere le lacrime e potei riprendere a parlare: «Ti prego», dissi, «padre mio santissimo e ottimo: se questa è la vera vita, a quanto sento dire dall'Africano, come mai indugio sulla terra? Perché non mi affretto a raggiungervi qui?». «No», rispose. «Se non ti avrà liberato dal carcere del corpo quel dio cui appartiene tutto lo spazio celeste che vedi, non può accadere che per te sia praticabile l'accesso a questo luogo. Gli uomini sono stati infatti generati col seguente impegno, di custodire quella sfera là, chiamata terra, che tu scorgi al centro di questo spazio celeste; a loro viene fornita l'anima dai fuochi sempiterni cui voi date nome di costellazioni e stelle, quei globi sferici che, animati da menti divine, compiono le loro circonvoluzioni e orbite con velocità sorprendente. Anche tu, dunque, Publio, come tutti gli uomini pii, devi tenere l'anima sotto la sorveglianza del corpo, né sei tenuto a migrare dalla vita degli uomini senza il consenso del dio da cui l'avete ricevuta, perché non sembri che intendiate esimervi dal compito umano assegnato dalla divinità. ».

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