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Cicerone: Dario in fuga


Darius in fuga cum aquam turbidam et cadaveribus inquinatam bibisset, negavit umquam se bibisse iucundius: numquam videlicet sitiens biberat. Nec esuriens Ptolomaeus mandu­caverat; cui peragranti Aegyptum cum pastores in casa cibarium panem dedissent, dixit illum panem sibi iucundiorem esse quam omnes suaves cibos. Socrates usque ad vesperum contentius ambulabat et, cum quidam ex eo causam quaesivissent, dicunt eum sic respondisse: « Quo melius cenem: nam ambulatione credo me famem obsonare ». Cum in philitiis tyrannus cenavisset Dionysius, negavit se ius illud nigrum, quod cenae caput erat, gustavisse. Tum is, qui illa coxerat, dixit: « Minime mirum; condimenta enim defuerunt ». « Quae tandem sunt? », Dionysius quaesivit. « Labor in venatu, sudor, cursus, fames, sitis; his enim rebus Lacedaemonii epulas condiunt ».

Traduzione

Dario in fuga, dopo aver bevuto dell'acqua torbida e inquinata dai cadaveri, disse che non aveva mai bevuto con maggior piacere: certamente non doveva mai aver avuto tanta sete. E nemmeno Tolomeo affamato aveva mangiato; dopo che dei pastori gli diedero del pane scuro in una capanna mentre lui viaggiava per l'Egitto, disse che quel pane era per lui più piacevole di tutti i cibi più dolci. Socrate soleva passeggiare fino alla sera piuttosto a stecchetto e, quando alcuni gliene chiesero il perché, dicono che egli rispose: “Affinché possa cenare meglio: infatti passeggiando credo di procurarmi l'appetito”. Dopo aver cenato nelle filizie, il tiranno Dionisio dichiarò che non gli era per nulla piaciuto quel famoso brodetto nero, che costituiva il piatto principale del pranzo. Allora l'uomo che aveva cucinato quelle cose disse: “Non è per niente strano; infatti mancavano i condimenti”. “E quali sarebbero dunque?”, chiese Dionisio. “La fatica della caccia, il sudore, la corsa, la fame, la sete; con queste cose infatti gli Spartani condiscono il banchetto”.

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