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Cicerone in esilio scrive ai suoi familiari

 


Versione di latino tradottta di Cicerone


Tullius Terentiae suae, Tulliolae suae, Ciceroni suo salutem dicit. Et litteris multorum et sermone omnium perfertur ad me incredibilem tuam virtutem et fortitudinem esse teque nec animi neque corporis laboribus defatigari. Me miserum! te ista virtute, fide, probitate, humanitate in tantas aerumnas propter me incidisse, Tulliolamque nostram, ex quo patre tantas voluptates capiebat, ex eo tantos percipere luctus! Nam quid ego de Cicerone dicam? qui cum primum sapere coepit, acerbissimos dolores miseriasque percepit. Quae si, tu ut scribis, fato facta putarem, ferrem paullo facilius, sed omnia sunt mea culpa commissa, qui ab iis me amari putabam, qui invidebant, eos non sequebar, qui petebant. Quod si nostris consiliis usi essemus neque apud nos tantum valuisset sermo aut stultorum amicorum aut improborum, beatissimi viveremus: nunc, quoniam sperare nos amici iubent, dabo operam, ne mea valetudo tuo labori desit. Res quanta sit, intelligo, quantoque fuerit facilius manere domi quam redire; sed tamen, si omnes tribunos pl. habemus, si Lentulum tam studiosum, quam videtur, si vero etiam Pompeium et Caesarem, non est desperandum. Valete. Data ante diem VI. Kal. Decembr. Dyrrhachii.


Traduzione


Dalle lettere di molti e dalla viva voce di tutti mi giunge notizia che sei di una forza d'animo e d'una energia incredibili e che non ti lasci stancare ne dalle fatiche fisiche ne da quelle morali. O mia disgrazia! Con queste tue virtù, con la tua fedeltà, la tua rettitudine, la tua umanità vederti piombata in cosi grandi angosce per colpa mia; e vedere la nostra Tulliola ricavare motivo di pianto da un padre, da cui era abituata a ricevere tante soddisfazioni! E che dovrei dire del nostro figliolo? Appena raggiunta l'età della ragione ha subito le più crudeli sofferenze e miserie. Se io le credessi, come scrivi tu, causate dal destino avverso, le sopporterei un po' meglio; ma la responsabilità di tutto è integralmente mia, che pensavo di essere amato da chi mi odiava e che non prestavo attenzione a chi invece si volgeva a me. Se avessi fatto buon uso della ragione e non avessi dato tanto retta alle chiacchiere di amici o stupidi o disonesti vivrei adesso sereno. Ma ore che degli amici ci ingiungono di sperare per il meglio, mi darò da fare perché la mia salute possa rispondere alle pene che ti dai per me. Mi rendo conto delle dimensioni della cosa e quanto fosse più facile restare in patria piuttosto che tornarvi! Se pero abbiamo dalla nostra tutti i tribuni della plebe; se l'interessamento di Lentulo — nella sue posizione di console designato — non è solo apparente; se vi si aggiungono anche Pompeo e Cesare, non bisogna disperare.Addio. Durazzo, 26 novembre.

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