Dolore dei Cartaginesi e di Scipione per la fine di Cartagine
Versione greco tradotta di Polibio
Άπλωϛ οι Καρχηδόνιοι ουδέν ειδοϛ των μελλόντων εγνωσαν εξ αυτηϛ δέ τηϛ των πρέσβεων…..
Traduzione
I Cartaginesi non avevano assolutamente nessuna idea di quel che accadeva: ma indovinando dall’aspetto stesso degli ambasciatori proruppero in gemiti e in lamenti d’ogni specie. E dopo essersi sfogati tutti insieme a gridare, a un tratto rimasero come stremati di forze. Scipione poi, vedendo Cartagine che allora cadeva nell’ultima rovina, si dice lacrimasse e si lasciasse vedere palesemente a piangere per i nemici. Rimasto molto tempo soprappensiero fra se stesso e considerando che città e popoli e stati interi debbono, come gli uomini, cambiare destino e che questa sorte aveva subito l’Ilio, città un tempo felice, l’aveva subito lo stato degli Assiri e dei Medi e dei Persiani. Divenuto l’impero più potente dopo di quelli, e il regno dei Macedoni, che aveva brillato in tempi assai recenti, si dice che o volontariamente, o che gli sfuggisse di bocca questa frase, esclamasse: <<Verrà il giorno che perirà infine la sacra Ilio e Priamo e il popolo di Priamo armato di frassinea asta>>. Polibio gli chiese con tutta franchezza – era infatti anche il suo maestro – che cosa significasse quel detto. E narrano che egli senza ritegno facesse chiaramente il nome della sua patria, per la quale allora, considerando le vicende umane, nutriva timori. E tali cosi riferisce Polibio, avendole intese personalmente.