Poiché tutti approvavano quanto era stato detto, per la sua chiarezza, <<perciò, soggiunse, di questo siate riconoscenti soprattutto agli dei: infatti sono essi che preparandoci la vittoria hanno condotto i nemici in tali posizioni; in secondo luogo a noi, perché noi abbiamo pur costretto i nemici a combattere – giacché essi non possono più sfuggire questo – e a combattere apertamente in posti per noi vantaggiosi. E l’esortarvi adesso con più parole a essere audaci e animosi di fronte al pericolo non mi sembra punto conveniente. Infatti quando voi eravate ancora inesperti del modo di combattere contro i Romani, allora sì occorreva far questo, e io tenni davanti a voi molti discorsi con esempi; ma ora, poiché in seguito in tre battagli siffatte, per comune consentimento, avete vinto i Romani, quale discorso potrebbe infondervi coraggio con una forza maggiore dei fatti stessi? Orbene in grazia ai combattimenti precedenti vi siete impadroniti del territorio e dei beni da esso derivanti, secondo le nostre promesse, senza che noi fossimo trovati mentitori in nessuna delle cose a voi dette; e la presente lotta è ingaggiata per le città e per i beni che in esse si trovano. Se in tale lotta riuscirete vincitori, diverrete immediatamente signori di tutta l’Italia, e liberativi dai presenti travagli, acquistando il possesso di tutta la prosperità dei Romani, sarete a un tempo duci e signori d’ogni cosa in grazia a questa battaglia. Perciò ora non più di parole, ma di fatti vi è bisogno; giacché, se gli dei vorranno, sono convinto di potervi quanto prima confermare le promesse fattevi>>.