Ogni cane da caccia si rallegra quando ha catturato esso stesso un animale e si serve della preda come di un premio, se il padrone glielo concede; in caso contrario, la serba viva finchè il cacciatore giunga e decida su ciò che è stato preso com’egli vuole. Se si imbatte in una lepre o in un cinghiale morto, non lo tocca, non volendo mettere il proprio nome alle fatiche altrui né stimando di appropriarsi delle cose che non lo riguardano punto. E da queste cose appare ch’esso ha pure in sé alcunchè di ambizione naturale: infatti mostra di non aver bisogno di carne, bensì di aspirare alla vittoria. Vale la pena di ascoltare pure ciò che fa il cane da caccia quando si presenta l’occasione di cacciare. Esso precede il cacciatore stando legato a un lungo guinzaglio e fiuta, trattenendo fortemente la sua voce e fino a quando non si presenta ad esso nessuna fiera e in nessuna esso s’imbatte, procede a testa bassa per osservare e per congetturare, e purtuttavia il cane, anche andando innanzi, alletta molto volentieri e fortemente il cacciatore. Se poi si mette sulle orme e in grazia all’odore giunge vicino alla preda, allora si ferma.