L’avarizia è la brama d’un turpe guadagno e l’avaro è un tale che, invitando altri, non mette a tavola pane sufficiente. Prende denaro a prestito da un ospite che viene a dimorare presso di lui. Distribuendo le porzioni, dice essere giusto che a chi distribuisce venga dato il doppio e subito lo assegna a se stesso. Quando commercia vino, all’amico lo da mescolato con acqua. Soltanto allora va allo spettacolo conducendo i propri figli quando gli impresari lasciano entrare gratuitamente. Assentandosi in missione pubblica, lascia a casa le provviste che riceve dalla città e prende a prestito dai compagni di missione; al servo che lo accompagna impone un carico superiore a quello che può portare e a lui da viveri meno che a tutti gli altri; e dopo aver richiesta la sua parte dei doni ospitali, la vende. Ungendosi nel bagno e dicendo: ragazzo, tu hai comperato l’olio rancido, si unge con quello degli altri. Delle monete ritrovate per strada dai servi è capace di richiedere la sua parte, dicendo che il guadagno trovato è comune. Da il proprio mantello a lavare presone a prestito un altro da un conoscente lo strascica per parecchi giorni, finchè il padrone glielo ridomanda. Mostrando un amico di volergli vendere qualcosa a basso prezzo, lo compera e poi presolo lo rivende. E per certo anche, dovendo pagare un debito di trenta mine, restituisce una somma di quattro dramme di meno. E se i figliuoli non sono andati a scuola a causa d’una indisposizione, sottrae in proporzione la mercede.