In primo luogo sempre, per tutta la sua vita, rivelò nel maggior modo possibile la generosità dell’anima sua, ritenendo che, come non è facile amare coloro che mostrano di odiarci ne essere ben disposti verso chi è mal disposto di fronte a noi, così anche coloro dei quali è noto che ci amano e sono ben disposti verso di noi è impossibile vengano odiati da coloro che pensano di essere amati. Finchè dunque fu incapace di beneficiare con le ricchezze, cercava di procacciarsi l’amore di coloro che avevano rapporti con lui con il provvedere ai loro interessi, con l’affaticarsi per loro, col rallegrarsi manifestamente per i loro beni e con il prendere parte ai loro dolori; quando poi fu in grado di poter beneficiare con le ricchezze, a noi sembra ch’egli riconoscesse in primo luogo che nessun beneficio fatto reciprocamente dagli uomini con la medesima spesa riesce più gradito che il dono di cibi o di bevande. Nutrendo tale opinione, ordinò anzitutto che a tavola gli venissero imbandite sempre vivande simili a quelle di cui si cibava egli stesso, in quantità sufficiente per numerosissimi uomini: e quante gli venivano imbandite, eccetto quelle di cui si nutrivano egli stesso e i suoi commensali, le distribuiva a quelli fra i suoi amici ai quali voleva dimostrare ricordo o benevolenza. Ne mandava pure a coloro che’egli ammirava per la fedeltà o nelle guardie o nei servizi o in qualsivoglia altra azione, dimostrando questo, che non gli sfuggivano quanti desideravano fargli cosa gradita. E onorava altresì della propria mensa i suoi ufficiali, ogniqualvolta desiderava lodarne qualcuno; e tutte le vivande dei suoi familiari faceva imbandire sulla propria mensa, pensando che anche questo ispirasse, come ai cani, una certa benevolenza.