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Romanzo epistolare e sonetti di Ugo Foscolo

Le ultime lettere di Jacopo Ortis



Le ultime lettere di Jacopo Ortis
sono un romanzo epistolare (sul modello della Nouvelle Héloïse di Rousseau e del Werther di Goethe) dalla trama semplice e breve e con un accellerato ritmo drammatico. Lorenzo Alderani raccolse e fece pubblicare le lettere postume che l’amico Jacopo Ortis indirizzò prima di morire: con l’intento di ricordarlo e onorare la sua memoria. Dopo il trattato di Campoformio deluso per la sorte della propria città Jacopo, si rifugiò in solitudine sui Colli Euganei; qui conobbe una donna di nome Teresa, figlia di un profugo politico e se ne innamora. Ma Teresa è promessa ad un giovane buono e ricco di nome Odoardo, che Teresa non ama. Disposta a sposarlo Teresa decise di sacrificarsi nel tentativo di risollevare le sorti della sua famiglia travagliata e perseguitata. Consapevole di essere riamato da Teresa Jacopo è convinto di non poter chiedere a Teresa di condividere con lui una vita da profughi. Quindi si mette in viaggio verso l’Italia; ma non riceve alcun conforto dalle bellezze della natura e delle città che visita; anzi, è afflitto dal desolante spettacolo del popolo italiano che sopporta la dominazione straniera. Le tombe di Santa Croce a Firenze e l’incontro a Milano con Parini rafforzano in Jacopo la convinzione che il mondo preclude la via agli spiriti nobili e grandi. Ritorna sui Colli Euganei dove nel frattempo Teresa ha sposato Odoardo. Ormai tutte le illusioni sono cadute: se all’uomo non è dato di godere senza affanni all’amore di una fanciulla e la libertà della patria non resta che la morte. Il suicidio infatti, al quale Jacopo si prepara con mente serena e lucida è una sorta di liberazione.



A Zacinto
(sonetto con rima ABAB, ABAB, CDE, CED)



Né più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque
 
Venere, e féa quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque
 
cantò fatali, ed il diverso esiglio,
per cui, bello di fama e di sventura,
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
 
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra: a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
 

Il poeta non potrà tornare più nella sua terra natale, su quelle sponde sacre non solo perché sono le sponde della patria, ma anche perché vi aleggia la memoria di antiche divinità greche. Quando nacque Foscolo Zante (o Zacinto) era possedimento veneziano e punto di scalo delle navi inglesi.il sonetto è pervaso da una malinconia pacata che nasce dal nostalgico sentimento per Zacinto, la bella isola che nella memoria del poeta in una terra ideale rivivono il sorriso di Venere e l’epica poesia di Omero. Il poeta si sente sventurato come Ulisse ma con un destino diverso; se Itaca, afferma il poeta, potè rivedere Ulisse dopo vent’anni, Zacinto non potrà vedere il ritorno del suo figlio che potrà solo dedicargli il suo poetico canto: il fato ha riservato al poeta una sepoltura senza lacrime, lontana dal pianto di amici e familiari.
 

In morte del fratello Giovanni

(sonetto con rima ABAB, ABAB ,CDC, DCD)

 


Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, mi vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
 
La madre or sol, suo dí tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,
 
sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quïete.
 
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.
 
 
Questo sonetto è indirizzato dal poeta al fratello minore morto: Giovanni Dionigi che si uccise a soli venti anni, non potendo onorare un grande debito di gioco. Il poeta nobilita questa causa del suicidio accennando a motivi morali più profondi. Questo sonetto ha molti punti di somiglianza con il sonetto Alla sera e nasce da un desiderio di quiete. Alla mamma addolorata ed annientata dal dolore non rimane che parlare del proprio figlio Ugo, lontano ma ancora vivo al figlio morto che di certo non potrà rispondergli, ma che potrà probabilmente consolarla poiché tra i vivi ed i morti vi è sempre uno scambio di sentimenti.
 

Alla sera

(sonetto con rima ABAB, ABAB,CDC, DCD)



Forse perché dalla fatal quïete
Tu sei l’imago, a me sí cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
 
e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre, e lunghe all’universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
 
Vagar mi fai co’ miei pensieri sull’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
 
delle cure, onde meco egli si strugge,
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirito guerrier ch’entro mi rugge.
 
Alla sera è uno dei sonetti esemplari della letteratura italiana anche dal punto di vista formale, caratterizzato da accenti ritmici e sequenze consonantiche e vocaliche che producono un particolare effetto musicale.

Collocato al primo posto della raccolta il sonetto proietta la concezione della vita e della morte del poeta ed armonizza sentimenti, sensazioni. Foscolo esprime un sentimento del reale inteso come incessante movimento traducendo le stagioni con immagini. L’immagine dell’estate si illumina di vita e di felicità con l’utilizzo di un ritmo piuttosto veloce; l’immagine dell’inverno invece è caratterizzata da un ritmo lento in modo tale da creare la sensazione del lento crepuscolo invernale. Solo così si placa per un po’ lo spirito del poeta travagliato, inquieto come un leone in prigionia smanioso di ottenere la libertà.
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