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Lirica, poetica, linguaggio e stile di Tasso



Non si può parlare dell’opera di Tasso senza tenere conto della cultura ferrarese del XVI sec. Che, raccolta attorno alla corte estense, cerca di costruire un sistema di forme letterarie volte a suscitare piacere in dame, signori, cavalieri, funzionari e cortigiani. La corte estense e la cultura che essa promuove è ricca di curiosità e di aperture. Essa tiene conto dei modelli classicisti nazionali, ma resta animata da un gusto tutto particolare per il romanzesco, le forme edonistiche e fantastiche, l’avventura e lo spettacolo. L’ambiente letterario ferrarese partecipa ai dibattiti e agli esperimenti sul poema eroico sulla tragedia e sulla favola pastorale. Ma la vita culturale ferrarese, che costituisce lo sfondo necessario per comprendere le opere di Tasso e di Guarini era minacciata da varie difficoltà politiche e dinastiche. Con la morte di Alfonso II, la città ed il territorio di Ferrara passarono sotto la diretta giurisdizione dello Stato della Chiesa. Aveva così bruscamente termine una vita cittadina, laica e cortigiana.

Torquato Tasso nacque nel 1544 durante il periodo delle guerre d’Italia si era fatto conoscere come uno dei più eleganti gentiluomini letterati. Col padre a Urbino, Tasso fece le sue prime prove letterarie, guardando con entusiasmo ai modelli cortigiani, che ad Urbino, si appoggiavano sul ricordo del mondo del cortegiano di Castiglione.

Nel ’59 seguì il padre a Venezia, dove cominciò a scrivere sulla prima crociata Gerusalemme primo abbozzo del suo futuro capolavoro. Fu essenziale il rapporto con l’accademia degli Infiammati e con Sperone Speroni. Seguendo il modello del padre, scrisse un poema cavalleresco che pubblicò a Venezia col titolo di Rinaldo. Aveva intanto avuto rapporti con le corti di Ferrara e di Mantova. Una data decisiva per la sua carriera letteraria è il 1565, quando entrò come cortigiano al servizio del cardinale Luigi D’Este. Dopo il grande dolore suscitato dalla morte del padre, Tasso compì un viaggio in Francia, al seguito del cardinale Luigi e stabilì importanti contatti con la cultura cortigiana francese. Lasciato il servizio del cardinale Luigi D’Este fu assunto come cortigiano del duca. I viaggi compiuti al seguito del duca di Roma e a Venezia non ostacolarono il lavoro politico di Tasso; egli ultimava la stesura del poema sulla Crociata, dal titolo ancora incerto, dedicato al duca Alfonso. A coronamento del successo riscosso nell’ambiente di corte venne nominato storiografo di corte. L’immersione nella vita cortigiana e la forte tensione creativa si erano rette sul filo di un equilibrio psicologico precario che, una volta terminato il poema si spezzò: la gioia del suo successo si trasformò presto in insoddisfazione, in desiderio di fuga, in ricerca nostalgica di valori perduti. Tasso voleva rendere la sua opera aderente alle norme letterarie e religiose dominanti. Si sentiva anche insicuro della sua fede cattolica: assillato dai dubbi, aspirava a piegarsi alle verità più certe e assolute. Nel tentativo di sfuggire a questo stato di insoddisfazione si recò a Roma. Decide però di sottoporre il poema a 4 autorevoli revisori tra cui Sperone Speroni e Scipione Gonzaga. Vari episodi incresciosi complicarono la sua vita ferrarese. Nel ’79 tornato a Ferrara mentre si celebravano le nozze tra Alfonso e Margherita  Gonzaga inveì contro il duca e perdette il controllo di sé. Il duca lo fece rinchiudere come pazzo all’ospedale Sant’Anna. Dopo 14 mesi di dura segregazione ebbe a disposizione alcune stanz e potè riprendere a studiare e scrivere. Nel corso di questo periodo dovette sopportare gravi sofferenze fisiche e spirituali. Attraverso una copiosa serie di lettere, rivolte a principi, e signori cercò di difendere la propria dignità personale. La Gerusalemme Liberata ottenne un grande successo. Nel 1586 abbiamo finalmente la sua liberazione da Sant’Anna. Egli aspirava intanto ad una poesia religiosa nuova e componeva varie opere d’occasione per celebrare i principi, i signori e i monaci che lo ospitavano. Ma i suoi sforzi erano concentrati sul totale rifacimento del poema, apparso col nuovo titolo di Gerusalemme Conquistata nel 1593; dopo lunghi periodi di malattia parve trovare la quiete e la consolazione a Roma.

Le vicende umane di Tasso furono viste come segni estremi dell’infelicità che il genio incontra nei rapporti con il mondo e con le sue costrizioni sociali. Per Tasso la letteratura è tutto, è un modo di offrirsi al pubblico, dal rapporto col quale egli cerca successo e gloria. Ariosto avvertiva una distanza rispetto alla corte a cui offriva la propria opera, era consapevole dei limiti della propria posizione di scrittore e intellettuale. Per Tasso, invece quel mondo è tutto, ma un valore assoluto e totale egli attribuisce anche alla propria persona e alla propria poesia. Egli aspira ad instaurare con la corte un rapporto immediato ed assoluto. Egli si accorge che non è possibile alcuna identificazione completa e felice con l’ambiente a cui si rivolge. Allora, ecco, l’insoddisfazione. Questa situazione spinge sempre più Tasso a tornare sulle sue lacerazioni affettive, sulla mancanza di una vera patria, sulla perdita precoce della madre e sulla vita agiata e itinerante del padre. Nelle Lettere, l’autore s’impegna a costruire un’immagine di sé socialmente accettabile.

 

Scrittura lirica


In tutto il corso della sua vita Tasso scrisse una grande quantità di liriche per le circostanze più diverse. Le Rime non ruotano attorno ad un modello, ma seguono direzioni molteplici. Altra grande novità è il recupero del rapporto della poesia con la musica  testimoniato da una fitta produzione di Madrigali.

Partendo da situazioni sentimentali elementari, Tasso ricava echi dolci e leggeri. Da madrigali (= componimento lirico di misura breve legato alla musica) e sonetti emergono affascinanti immagini femminili. Quì Tasso cerca di tradurre nelle strutture metriche della lirica volgare i modelli della lirica eroica classica; in primo luogo quelli di Pindaro e Orazio; percorre cioè la strada del pindarismo. Egli prende spunto da immagini emblematiche, naturali o artificiali, nelle quali sono riconoscibili il signore o la famiglia che la poesia intende esaltare. Spesso  vi sono accenti autobiografici dolorosi e appassionati: la gloria dei potenti viene vista come un’esaltazione assoluta e sovrana che può proteggere e consolare la vita infelice del poeta. Un bisogno do confronto domina le rime religiose, qui il poeta appare nelle vesti di un devoto che attraverso la preghiera aspira a lenire il proprio dolore.

 

Poetica di Tasso

 
Il problema che preoccupa Tasso, è quello del passaggio dal romanzo cavalleresco della tradizione ferrarese a un poema eroico moderno, fondato sui canoni dell’epica classica. Tasso, mira ad un classicismo moderno, appoggiandosi su nozioni tratte dalla poetica aristotelica e dalla tradizione platonica.

Partendo dalla nozione fondamentale di poesia come imitazione delle azioni umane, egli affronta il problema della materia del poema eroico, sulla base dei rapporti tra poesia della materia del poema eroico, sulla base dei rapporti tra poesia e storia e tra vero, verosimile e meraviglioso. Mentre alla storia appartiene l’ambito del vero, alla poesia compete quello del verisimile. La poesia epica deve rappresentare le azioni più nobili e illustri. Alla poesia è intrinseco il fine del diletto e per raggiungerlo occorre integrare il verosimile con il meraviglioso. Bisogna evitare le favole pagane e rivolgersi al meraviglioso cristiano che può garantire il diletto che si prova di fronte agli eventi soprannaturali. Quanto alla forma da dare alla materia, gli eventi vanno presentati non come sono accaduti, ma come dovrebbero essere accaduti.
 

Linguaggio e stile

 
Tasso, della poesia classica ricavò la convinzione che, per suscitare nel lettore “meraviglia”, fosse necessario uno stile magnifico e sublime. La magnificenza doveva essere espressione del “divino furore” del poeta epico, capace di comunicare “con un’altra mente e con un’altra lingua”; il sublime doveva legarsi al pellegrino, ricercare espressioni e forme inconsuete, lontane da ogni significazione propria. Il linguaggio della Liberata realizza la magnificenza attraverso l’uso di figure retoriche tratte da Omero, Virgilio, Dante e Petrarca. La lirica di Della Casa rimane per Tasso modello essenziale per costruire un parlar disgiunto, fatto di continui spostamenti di parole, inversioni dell’ordine sintattico e rotture tra svolgimento sintattico e metrico. Il parlar disgiunto suscita la meraviglia. In Tasso vi è il superamento dei modelli classicisti per giungere ad una nuova lirica ricca di colori e suoni intrecciati. È una lingua labirintica che si contorce su se stessa. Nella Liberata si offre una cupa visione dell’intera vita umana, della violenza bellica e della fortuna. Le forze benefiche e positive come quelle malefiche e distruttive; tutto appare come qualcosa che cattura e trattiene e insieme spinge a fuggire. Si tratta di contraddizioni prive di qualsiasi possibilità di soluzione, che l’autore vive sempre in modo estremo e senza nessuna concessione al comico o all’ironico. Qui non c’è alcuna ironia. Non c’è l’alternanza dei contrari, ma la loro compresenza ambigua e minacciosa. Dietro lo sguardo dello scrittore, si definisce un pellegrino, nessun evento possono consolare veramente. Tutto ciò mostra il carattere manieristico dell’opera tassiana; questa grande epica tende verso i caratteri problematici del romanzo moderno, offrendo l’immagine di una realtà che si svela e si nasconde che affascina e avvelena. Tasso s’impegnò nella scrittura di dialoghi. Il dialogo gli permetteva di mostrare all’esterno, la sua volontà di aristocratico, anche nella difficile situazione della prigionia. Egli se ne servì per costruire una sorta di autobiografia intellettuale; in molti dialoghi egli mise in scena la sua figura dI uomo sofferente, il suo inappagato desiderio di pace interiore, la sua malinconia, presentandosi come interlocutore per lo più col nome di Forestiero Napoletano.

Il messaggero riferisce il colloquio che ha avuto con uno spirito apparsogli nella prima luce del mattino nella sua stanza a Sant’Anna: incerto se si tratti di un sogno, o di un essere reale, egli discute con questo interlocutore misterioso sulla natura degli spiriti che fanno da “messaggeri” tra la divinità e l’uomo. La familiarità con la poetica di Aristotele spingeva Tasso a rivolgere un’attenzione particolare alla tragedia.
 

Ultime opere

 
La produzione poetica dell’ultimo decennio della vita di Tasso appare per lo più occasionale, legata a personaggi che lo protessero e lo ospitarono o a pratiche di devozione religiosa. Le 7 giornate del mondo creato: questo poema si concentra sulla complessità dell’universo, sul suo spettacolo, afferrandone il respiro segreto e profondo sulla vita generata dal soffio creatore di Dio. La genealogia di casa Gonzaga narra la storia della famiglia signorile in toni sonanti.
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