Il pessimismo Lucreziano

Breve appunto di letteratura latina sul pessimismo di Lucrezio.

Spunti di pessimismo in Lucrezio non mancano: basterebbe ricordare alcuni versi del V libro dove il poeta lamenta le condizioni dell’uomo, paragonandola a quella più fortunata degli animali.

Sorge spontanea una domanda vi è antinomia dunque, fra il pessimismo di Lucrezio e la atarassia di Epicuro?

Consapevole del dolore del mondo fu pure il maestro ateniese, anche se si proponeva di separarsene attraverso il suo isolamento atarattico: Aristotele, aveva affermato la perfezione e l’origine divina del mondo ed Epicuro a aveva risposto polemizzando con l’affermare la culpa naturae, e la costruzione del mondo fuori di un piano e di un principio strutturale.

L’immagine torna in Lucrezio nel V libro, dove inveisce contro la natura avversa all’uomo. Senonché Lucrezio è ancora con Epicuro nel ritenere che, se il dolore del mondo esiste, la filosofia addita a tutta la via per superarlo. In questo senso, pessimista è anche Epicuro, nessuno saprà reagire al dolore se non è iniziato a questa nuova dottrina di redenzione.

Una nota di pessimismo sarebbe anche la chiusa del poema, il quadro della peste ateniese, quasi il poeta avesse voluto congedarsi dal lettore in un’ombra di tristezza e di morte. Questa descrizione ha un valore episodico e vuole dimostrare che il flagello non è opera di una divinità, ma effetto di cause naturali: è ancora l’insegnamento della scienza che spiega il fenomeno per liberare dai terrori di una credenza fallace.