De Amicitia, Paragrafo 87
De Amicitia, Paragrafo 87
Serpit enim nescio quo modo per omnium vitas amicitia nec ullam aetatis degendae rationem patitur esse expertem sui. Quin etiam si quis asperitate ea est et immanitate naturae, congressus ut hominum fugiat atque oderit, qualem fuisse Athenis Timonem nescio quem accepimus, tamen is pati non possit, ut non anquirat aliquem, apud quem evomat virus acerbitatis suae. Atque hoc maxime iudicaretur, si quid tale posset contingere, ut aliquis nos deus ex hac hominum frequentia tolleret et in solitudine uspiam collocaret atque ibi suppeditans omnium rerum, quas natura desiderat, abundantiam et copiam hominis omnino aspiciendi potestatem eriperet. Quis tam esset ferreus qui eam vitam ferre posset, cuique non auferret fructum voluptatum omnium solitudo?
TRADUZIONE
L'amicizia, infatti, si insinua, non so come, nella vita di tutti e non permette a nessuna esistenza di trascorrere senza di lei. Anzi, se un uomo fosse di indole tanto aspra e selvaggia da rifuggire da ogni contatto umano e da detestarlo - un certo Timone, ad Atene, dicono che fosse così -, non potrebbe tuttavia fare a meno di cercare qualcuno cui vomitare addosso il veleno della sua acredine. Giudicheremmo meglio un tale comportamento se ci capitasse una cosa del genere: un dio ci strappa dal consorzio umano e ci isola in qualche luogo; qui, fornendoci senza risparmio ogni cosa necessaria alla natura umana, ci priva completamente della possibilità di vedere un altro essere umano. Chi sarebbe così duro da sopportare una vita simile? A chi la solitudine non toglierebbe il frutto di ogni piacere?
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